a cura di Antonella Marino
Orizzonti Arte Contemporanea
Piazzetta Cattedrale, Centro Storico, Ostuni
Non so, proprio non so. Tre artisti, tre domande aperte sulla verità e sull’immagine.
“So di non sapere”, diceva Socrate, e in quella frase non c’era modestia, ma lucidità. È il punto di partenza della filosofia: riconoscere i limiti del proprio sapere, dubitare delle verità acquisite, restare aperti all’interrogazione. Nel contesto contemporaneo, questa attitudine è più necessaria che mai. Saper di non sapere non è rifiuto del sapere, ma rifiuto del dogma, della verità imposta, della risposta stereotipata. Nel titolo della mostra, Non so, proprio non so, risuona questa tensione: una dichiarazione non di rinuncia, ma di vigilanza. Come scriveva Italo Calvino: “la leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Allo stesso modo, non sapere non è ignoranza, ma una forma alta di attenzione. È l’inizio del pensiero critico, ma anche di ogni gesto artistico autentico.
La mostra prende dunque le mosse da un’affermazione che è insieme dichiarazione di crisi e di consapevolezza. Crisi della verità come dato oggettivo, universale, inconfutabile. Consapevolezza della verità come costruzione fragile, situata, molteplice. In questo vuoto lasciato dalle certezze si apre lo spazio dell’arte, e in particolare della pittura. Probabilmente è uno dei linguaggi più complessi da usare oggi. Ma proprio in quanto “finzione” riconosciuta, può diventare il luogo privilegiato per esercitare il diritto non a rappresentare la realtà (come storicamente è stato, almeno in Occidente) bensì a metterla in dubbio, disarticolarla, riformularla come possibilità.
Gianmaria Giannetti, Alessandro Passaro ed Enrico Pantani – tre artisti generazionalmente vicini ma diversi per provenienza e attitudine – trovano interessanti punti d’incontro proprio nel territorio instabile di una pittura neo-figurativa che interroga il senso del visibile. Una figurazione leggera e ironica, in cui il dubbio si manifesta con stili differenti ma convergenti: è il dubbio esistenziale e poetico, la domanda aperta su cosa sia la verità e cosa possa ancora dirsi “reale”; è il dubbio ironico e sociale, che disinnesca le convenzioni del linguaggio; è il dubbio visionario, che immagina altri scenari, anche quando sono assurdi o disturbanti. Tutti e tre mettono in crisi la relazione tra immagine e parola, tra apparenza e senso, tra verità e finzione. Il loro è un “non sapere” attivo e generativo, che non rinuncia alla domanda ma rifiuta l’illusione della risposta.
Come scriveva Francis Bacon, che Giannetti ama citare, “la pittura è un modo per avvicinarsi alla realtà attraverso la nebbia”. Ed è proprio in quella nebbia che i tre si muovono: Giannetti scavando nella dimensione esistenziale; Passaro forzando il reale verso il simbolico e l’assurdo; Pantani facendo esplodere il quotidiano in una narrazione grottesca. La verità, per tutti, non è data ma evocata, slittata, agita. Come suggerisce Jacques Derrida, “non c’è verità senza il rischio della verità. E non c’è rischio senza dubbio”.
Così la ricerca di Gianmaria Giannetti (Milano, 1974) si affida al paradosso e all’ironia per esplorare con sguardo lieve ma profondo il nostro stare al mondo. La sua pittura, all’apparenza giocosa, è in realtà percorsa da una tensione critica che si affida a stilizzate e stralunate creature umane, vegetali, animali. Esserini improbabili sospesi in uno spazio incerto, su cui aleggiano spesso annotazioni poetiche e interrogativi esistenziali. “Ditemi la verità” si legge al centro di una trama di scritte cancellate in uno dei quadri qui esposti, della recente serie Fantasmi e verità. La risposta, però, è sfocata. L’immagine è un appiglio fragile. Il mezzo stesso, la pittura, (ora più rarefatta, altrove contaminata da inserti fotografici e innesti materici) è continuamente messo in discussione, come se il vero tema fosse il fallimento stesso del linguaggio. Eppure, proprio in questa fragilità si apre un pensiero poetico e filosofico, in cui le questioni ultime – il destino umano, il senso dell’esistenza – emergono con toni lievi, mai dogmatici: come se la verità fosse sempre un’ipotesi, da cercare con testardaggine ma senza pretese assolute.
Per Alessandro Passaro (Mesagne, 1974), d’altro canto, la pittura è un dispositivo che smaschera le convenzioni visive, decostruisce la logica del potere, mette a nudo la tossicità del paesaggio mentale contemporaneo. I soggetti raffigurati – oggetti comuni o figure deformate, sospesi tra quotidiano e allucinazione – si stagliano in contesti domestici o naturali, ma sempre attraversati da un cortocircuito semantico. Passaro non cerca lo svelamento di una verità, ma ne mette in luce le ambiguità: le immagini non denunciano né moralizzano, ma destabilizzano. Si muovono sul filo del surreale, del grottesco, del ludico. L’ironia, spesso amara, e il gioco diventano strumenti per smascherare la finzione delle apparenze, per scavare nelle forme e nei simboli della realtà. Le sue figure – una bilancia/roulette, un phon gigante decontestualizzato, un “pacco contenuto”, una donna seduta su una sega dentata – sembrano provenire da un mondo disallineato, in cui l’immagine non rappresenta, ma deforma, disorienta. È una pittura asciutta, enigmatica, che affonda nelle contraddizioni del presente e mette in scena una verità spezzata e instabile.
Anche nelle opere di Enrico Pantani (Volterra, 1975) la verità non è mai un enunciato rassicurante, ma una tensione irrisolta, uno scarto ironico tra gesto e parola. La sua pittura, che adotta consapevolmente uno stile brut/naïf, si rivela come uno strumento affilato di indagine esistenziale e critica sociale. In mostra, Pantani presenta una serie di piccoli quadri dai colori vivaci che mettono in scena due situazioni opposte e speculari: l’abbraccio e la rissa. Due gesti archetipici, entrambi carichi di umanità, ma anche di ambiguità, in cui il bisogno di contatto può trasformarsi in confusione, sottomissione o violenza. La verità, in questo universo pittorico, non è mai detta chiaramente. Pantani sovverte, ironizza, disarma, e nel farlo mette a nudo le ipocrisie del quotidiano. I suoi dipinti, che aspirano a comunicare a tutti, sono uno specchio deformante e profondamente umano, in cui il reale si rivela come teatro assurdo e tragicomico. In questo contesto, si pongono dunque come interrogativi visivi: cosa stiamo guardando davvero? E possiamo davvero sapere, o dire, cos’è la verità?
Quello che accomuna i tre autori non è dunque uno stile, ma un’urgenza. La necessità di interrogare, con la pittura, ciò che oggi sembra sfuggire: la verità, la realtà, la parola stessa. Tutti e tre lavorano sulla soglia: non illustrano, ma evocano. Non rappresentano, ma smontano. Non affermano, ma mettono in discussione.
In un’epoca iper-saturata da narrazioni assertive – algoritmi che ci dicono cosa pensare, media che definiscono cosa è vero e cosa è falso, immagini che colonizzano lo sguardo prima ancora del pensiero – esercitare il dubbio significa opporsi alla semplificazione. Non so, proprio non so rivendica il diritto alla domanda. In un mondo che semplifica, i tre artisti complicano. In un sistema che produce immagini rassicuranti, loro generano immagini fragili, ambigue, aperte. Come scrive Donna Haraway, “è tempo di raccontare storie parziali, situate, minori”. E proprio in questa pluralità, in questa instabilità, può emergere una verità diversa: non assoluta, ma onesta. Non definitiva, ma radicale nella sua incertezza. Il non sapere, allora, non costituisce un limite: diventa piuttosto un gesto politico, un atto poetico, una pratica quotidiana di libertà.
Alessandro Passaro, Gianmaria Giannetti, Enrico Pantani
non so, proprio non so
a cura di Antonella Marino
Dal 28 giugno al 18 luglio 2025
Orario visite:
dal lunedì al sabato 10.30-14.30 e 16.30-19.30 – domenica solo mattina
GALLERIA ORIZZONTI ARTE CONTEMPORANEA
Piazzetta Cattedrale (centro storico) – 72017 Ostuni (Br)
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